INVESTIGATORE PRIVATO: Licenziamento per giusta causa

Se il dipendente dorme durante il proprio turno di servizio è legittimo il licenziamento per giusta causa. E' quanto si deduce da una sentenza con cui, nei giorni scorsi, la Cassazione ha accolto un ricorso di Autostrade per l'Italia contro una pronuncia della corte d'Appello dell'Aquila con la quale era stato annullato il licenziamento di un ausiliario alla viabilità autostradale e disposto il suo reintegro nel posto di lavoro.
Protagonista della vicenda è un lavoratore sorpreso nel corso di un controllo a dormire in auto per circa due ore mentre era incaricato del pattugliamento notturno nel tratto di autostrada da Ancona a Roseto degli Abruzzi. L’uomo si era messo d’accordo con un collega – giudicato in un’altra causa – con il quale doveva vigilare il percorso tra Ancona e Roseto a bordo della stessa auto di servizio in modo che in due sarebbero stati in grado di condurre «interventi operativi pericolosi come l’asportazione di ingombri derivanti da residui di collisioni». Invece si erano serviti di «due veicoli diversi, utilizzati per trascorrere dormendo alcune ore di servizio», circa due, distesi sui sedili anteriori, senza dare alcuna notizia alla centrale operativa.
I giudici di secondo grado avevano ritenuto che la sanzione del licenziamento fosse sproporzionata rispetto alla condotta contestata - e ammessa dal colpevole - e che, in un caso del genere, fosse sufficiente una multa. Di diverso avviso la Suprema corte, che sottolinea nel comportamento dell'ausiliario della viabilità autostradale una "evidente contrarietà ai doveri fondamentali del lavoratore, rientranti nel minimo etico" e la violazione "dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto di lavoro": l'arresto del veicolo di servizio durante il tempo destinato al pattugliamento costituiva, secondo i giudici, "inadempimento totale della prestazione lavorativa". Per questo, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, pronunciandosi per la legittimità del licenziamento.
Il turno di notte è trattato fiscalmente e retribuito in modo specifico proprio tenendo conto del fatto che si tratti di una mansione usurante.
In grado di appello i giudici avevano ritenuto eccessiva la sanzione del licenziamento considerando sufficiente una multa. Ma, ripetiamo, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha optato per il pugno duro: durante il turno notturno chi dorme può essere legittimamente licenziato.
La normativa*
Il licenziamento individuale di un lavoratore con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa (ex art. 2119 del codice civile) o giustificato motivo di cui all’art. 3, L.604/1966.
Il giustificato motivo
Il licenziamento per giustificato motivo può riguardare uno o più lavoratori (licenziamento plurimo) ma è ben diverso dal licenziamento collettivo (regolamentato dalla legge 223/1991). E’ necessario un preavviso, in base ai contratti di lavoro, in mancanza del quale il datore di lavoro dovrà pagare al lavoratore la relativa retribuzione. Il giustificato motivo oggettivo si configura nel momento in cui esiste un’esplicita necessità dell’impresa (es.: crisi aziendale) e può riguardare ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento; il giustificato motivo soggettivo è invece legato a «un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro
Giustificato motivo soggettivo
Il giustificato motivo soggettivo si differenzia dalla giusta causa in quanto non così grave da consentire il licenziamento in tronco senza preavviso. Ha anch’esso una motivazione disciplinare, legata all’inadempienza del lavoratore rispetto agli obblighi contrattuali (contratto di riferimento). Ad esempio una prolungata assenza che l’azienda dimostri di non poter sopportare, avendo necessità di affidare ad altri quelle determinate mansioni. E’ ammesso il licenziamento per superamento del periodo di comporto (l’arco temporale in cui, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto di conservare il posto) scaduta tale finestra, a meno che lo stato di malattia non dipenda dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Giustificato motivo oggettivo
Il diritto di libertà dell’attività economica privata è sancito dall’art. 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene che per attuare delle modifiche sia necessario licenziare un dipendente ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda). Quindi è l’azienda ad avere l’onere della prova: deve dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento, il nesso di causalità con il recesso dal rapporto di lavoro, l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverse o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte (anche inferiori alle precedenti, se il lavoratore accetta).
In caso di ricorso, il giudice ha l’obbligo di controllare la veridicità delle ragioni addotte ma non può entrare nel merito delle scelte del datore di lavoro, ossia non può opporsi al ridimensionamento o riorganizzazione aziendale. Se in sede di contestazione il lavoratore si trovi nella possibilità di indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, spetta al datore di lavoro motivare il mancato riposizionamento.
Il contenzioso
Se in seguito al ricorso del lavoratore il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore di lavoro dovrà applicare la tutela reale o quella obbligatoria. Nel primo caso sono previsti, in base all’art. 18 della legge 300/1970 (lo Statuto dei Lavoratori), il reintegro nel posto di lavoro e un risarcimento pari alla retribuzione maturata, includendo i contributi dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, con un minimo di 5 mensilità.
Le modifiche all’articolo 18 della riforma del lavoro Monti-Fornero prevedono la possibilità di risarcimento senza reintegro nel caso in cui il licenziamento illegittimo sia avvenuto per motivi economici (giustificato motivo oggettivo), previo tentativo di conciliazione obbligatoria.
La riforma prevede anche una lieve discrezionalità del giudice sull’eventualità del reintegro anche nei casi di licenziamenti disciplinari (per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo): l’alternativa è un’indennità fra 12 e 24 mensilità.
La tutela obbligatoria è invece normata dall’art. 8 della legge 604/1966, con la riassunzione entro 3 giorni o il risarcimento attraverso un’indennità tra 2,5 e 14 mensilità prendendo come riferimento l’ultima retribuzione.
*Fonte: PMI.it
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